Le foreste urbane

Recentemente ho letto un manuale prodotto dalla FAO sulla gestione delle foreste urbane, queste sono oggi ancora fortemente abbandonate quando in realtà, se correttamente gestite, sarebbero fonte di lavoro  e di grandi benefici per le persone che abitano in città. Buona Lettura.


Con il termine di foresta urbana si possono indicare tutti quei raggruppamenti arborei che formano boschi (naturali ed artificiali), gruppi di alberi, filari lungo i viali, parchi e giardini in ambito urbano e peri-urbano (FAO,2016), questi ambienti possono essere considerati come l’ossatura dell’infrastruttura del verde e ponte di collegamento tra le aree urbane con le rurali.
In considerazione di ciò si sta sviluppando il settore della Selvicoltura urbana e peri-urbana che punta al mantenimento e all’utilizzo di questi ambienti per scopi paesaggistici e produttivi.

I benefici del verde urbano
Fin dall’antichità le aree antropizzate presentavano aree pubbliche e private in cui si cercava di ricreare un ambiente naturale, questo fenomeno è perdurato nei secoli andando a formare aree come Central Park a New York o Hyde Park a Londra oppure, luoghi in cui l’impatto dell’uomo è più evidente, come i giardini di Versailles.
I benefici però ricavabili da questi luoghi sono gli stessi di un viale alberato o di un piccolo giardino privato, in proporzione alle estensioni di questi.
Gli alberi in ambiente urbano sono un’importante mezzo per il controllo del clima, se ben progettato il verde cittadino può riuscire a ridurre le temperature da 2 a 8°C (effetto isola, mediante l’evapotraspirazione e l’ombreggiamento), agisce da filtro contro gli inquinamenti atmosferici abbattendo i livelli di CO2 (150 kg annui per albero) e tramite l’assorbimento di metalli o altre polveri sottili, per i processi metabolici delle piante; anche a livello idrico e pedologico la pianta riesce ad agire da filtro, in quanto cattura ed immobilizza nel proprio legno gli agenti inquinanti delle acque e del terreno.   
Le aree versi possono avere anche un impatto sulla nostra produzione di energia in quanto, potenzialmente, riducono il consumo di aria condizionata nei periodi estivi anche del 30% e ridurre il consumo energetico per il riscaldamento dal 20 al 50%.
Non va dimenticato anche il ruolo psicologico che queste aree possono avere sulla popolazione, infatti, le aree verdi riescono ad avere un effetto benefico sia in termini di riduzione dello stress sia di abbassamento di pressione migliorando la qualità della vita e la salute delle persone.
Nel campo naturalistico, il verde, gioca un ruolo essenziale nel mantenere e sviluppare la biodiversità, creando habitat, protezione e fonte di cibo per animali. Un esempio eclatante è quello dell’avifauna urbana, che tramite gli alberi riesce a trovare riparo da predatori o  da agenti atmosferici, si ciba sulle chiome o ai piedi delle piante di frutti secchi o carnosi che queste possono produrre o agli insetti che possono vivere sulla pianta e per alcune specie può diventare un luogo riproduttivo tramite la formazione del nido. Non va dimenticata anche tutta quella fauna che compone la catena trofica legata a questi ambienti ovvero gli organismi vertebrati ed invertebrati.
I benefici del verde urbano non si fermano ai soli citati, si pensi anche all’incremento di valore delle abitazioni poste in aree verdi o con giardini di pregio o la creazione di posti di lavoro necessari al mantenimento e alla cura di questi ambienti. 

Schema dei benefici degli alberi in città prodotto dalla FAO

La selvicoltura in ambiente urbano
Spesso i proprietari di terreni o gli Enti pubblici sottostimano il valore che può avere una filiera del legno urbano, si pensi alla produzione di legna da ardere derivante da potature ed abbattimenti o la produzione di cippato per il riscaldamento (si stima circa 2t/ha derivante da potature), combustibili per riscaldamento che abbattono l’emissione di CO2 in quanto a “emissione zero” (la CO2 emessa dalla combustione del legno verrà riassorbita dalle piante per creare nuovo legno), racchiudendo il tutto in una filiera legno-energia.
Altro settore è quello del riciclaggio degli scarti verdi tramite compostaggi e quindi la reimmisione  sottoforma di terricci e fertilizzanti naturali riutilizzabili per orti sociali, giardini, aiuole pubbliche e altre entità che compongono la struttura verde delle città.
Questi fattori hanno quindi un impatto importante non solo a livello ambientale, ma ugualmente  a livello economico, dato che vengono a crearsi nuovi posti di lavoro tramite opportunità lavorative in nuovi campi che stanno prendendo man mano piede anche nel nostro pese (biocombustili, riutilizzo e riciclo di rifiuti verdi, ecc…).


Come investire nel verde
Secondo uno studio della FAO, le foreste urbane possono contribuire ad aumentare significativamente la crescita di economie verdi, lo studio pubblicato sul manuale “Guidelines of urban and peri-urban forestry” mostra come un singolo albero apporti un beneficio stimabile in 50$ per anno (utilizzando come parametri solamente il risparmio energetico  e la riduzione di anidride carbonica), per ogni dollaro investito nel settore verde, prosegue lo studio, il ritorno economico è stimabile da 1.4$ a 3$.
Per raggiungere questi traguardi è necessario però fissare degli obbiettivi specifici; il primo passo è una corretta pianificazione e gestione del territorio tramite la redazione e aggiornamento di piani strutturali e di regolamenti urbanistici, è inoltre necessario una politica regionale che definisca dei modelli guida per poter sviluppare la pianificazione a livello Comunale in maniera da essere omogenea sul territorio.
Si deve quindi cercare di implementare obiettivi volti al “turning grey to green”, magari con il sostegno sia alla creazione di nuove aziende volte alla green economy urbana sia al mantenimento dell’operatività aziendale durante i primi periodi di attività mediante anche sgravi fiscali per i benefici ambientali apportati.
È quindi importante, affinché investire nel verde abbia successo, pianificare aree a costi di manutenzione contenuti nel tempo, creare filiere o multi filiere interne alla città dove vengono sfruttati i prodotti legnosi-non legnosi nei vari ambiti di applicazione, cosi da abbattere costi di trasporto e valorizzare il lavoro locale.
È importante, per noi e per le generazioni future, iniziare a gestire correttamente il verde delle nostre città, vedendolo come uno strumento atto al miglioramento della nostra vita sotto tutti gli aspetti, in primis la lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico in modo da agevolare anche le future generazioni nel mantenere il nostro pianeta. 




L’agave e il fiore della morte



Ho avuto la fortuna recentemente di assistere ad un evento botanico piuttosto raro, si tratta infatti della fioritura dell’Agave americana una pianta succulenta importata dall’America. E' ancora possibile assistere a questo evento, se siete di Prato passate da Viale Fratelli Cervi incrocio con Via Badiani in zona Coiano S.Lucia. Buona Lettura. 

La pianta di agave (Agave americana) è una pianta succulenta con foglie lunghe e dotate di spine lungo i margini laterali. Il fusto è quasi assente in quanto la pianta cresce portando le foglie in una struttura a spirale. La pianta può arrivare al
La pianta di agave a Prato
metro di altezza, ma ciò che la caratterizza è l’infiorescenza che può arrivare agli 8 metri di altezza caratterizzata da ramificazioni che supportano dei dischi in cui sono raccolti i fiori. Questa struttura è frutto di un attesa che varia dai 10 ai 30 e quando avviene è un evento molto particolare, anche perché sancisce la morte della pianta.
Infatti il fiore in questione, detto fiore della morte, risulta essere l’ultimo sforzo vitale dato che la pianta convoglia tutte le sue energie in questo evento e una volta completato il ciclo la pianta inizia a decadere fino alla morte.  
Una volta completato il suo ciclo i frutti prodotti che giungeranno a  maturazione daranno poi vita a nuove piante nell’area limitrofa, cosi come dall’apparato radicale ancora vitale nasceranno nuove piante che daranno vita ad un nuovo ciclo.




Particolare del fiore di aloe
 Questa pianta viene spesso confusa con l’aloe, pianta anch’essa succulenta ma dalle caratteristiche morfologiche differenti, infatti a differenza dell’agave le foglie dell’aloe hanno una diversa conformazione con un diverso portamento delle spine (più fitte e di maggiori dimensioni), inoltre il fiore caratterizza enormemente le due specie non solo per la morfologia ma anche perchè nell’aloe è una semplice fioritura stagionale.
 

Come gestire il proprio bosco


Può capitare a molte persone di essere in possesso di un terreno boschivo, spesso ereditato da nonni o genitori, del quale non si sa cosa farsene. Questa breve guida vuole spiegare l'iter corretto da seguire per mettere a frutto un bene che ha sempre un certo valore. Buona Lettura.

Quando si parla di taglio boschivo nell’immaginario collettivo questo evento è sempre visto come negativo, si pensa sempre che tagliare un bosco porti alla distruzione di questo e a quello che viene definito disboscamento. Niente di più sbagliato.
Schianti da vento in una pineta di Pino nero abbandonata
Le normali operazioni selvicolturali, come ad esempio il taglio del bosco ceduo con il rilascio di matricine, non sono altro che modi di coltivare correttamente il bosco, un bosco mai tagliato va incontro a fenomeni di degrado che si possono portare a schianti di piante di grosse dimensioni, piante morte in piedi, elementi questi che favoriscono il propagarsi degli incendi nel periodo estivo o il formarsi di epidemie che possono devastare un’intera area anche per centinaia di ettari, ed infine fenomeni franosi.
L’ultima affermazione può risultare strana ai più, in quanto siamo abituati a sentire che le frane si formano perché sul terreno non c’è copertura delle piante e quindi le radici non trattengono il suolo e questo risulta vero fino ad un certo punto.
Quando il bosco cresce tende ad aumentare la propria massa nel tempo grazie agli sviluppi diametrali e in altezza, se questo viene lasciato libero di crescere il peso delle piante inizia a diventare insostenibile per il terreno e la zona tende a franare se soggetta a forti piogge.
Questo fenomeno avviene per un mix di fattori ed è evidenziato principalmente nelle zone appenniniche; il primo fattore è sicuramente le dimensioni (inteso come grandezza delle piante) del bosco, il secondo è la pendenza su cui questo si trova ed il terzo è il clima. Maggiore è la pendenza minore è il peso sostenibile dal terreno e quindi più facilmente si avrà un evento franoso. Il terzo
Ceppaia di latifoglia con vari polloni
fattore in questo caso è un po’ un jolly in quanto, tramite eventi piovosi o il disgelo di nevi si scatenano i vari processi che portano alla frana. Infatti appesantendosi ulteriormente a causa dell’acqua, il terreno, scivola a valle non riuscendo le radici a trattenere ormai il peso.
Risulta quindi importante saper gestire correttamente il proprio bosco per evitare danni anche alle proprietà limitrofe e saper mantenere un bene che è un’effettiva risorsa.

Gestione del bosco: individuare la proprietà
Il primo passo per gestire adeguatamente il proprio bosco è sapere dove questo si trovi e quali sono i suoi confini. Sembra un’affermazione sciocca, ma spesso per mia esperienza capita di imbattersi in proprietari che non conoscono la propria proprietà. Si procede a creare una cartografia, disponibile presso gli uffici catastali (come estratto di mappa) o chiedendola ad un professionista del settore, che evidenzi le particelle catastali, da un primo sopralluogo verranno poi estrapolati i dati di viabilità, impluvi, fossi e specie presenti cosi da avere un primo quadro generale dell’area e verrà effettuato il confinamento dell’area.
Quando si ha a che fare con un terreno agricolo il confinamento di questo risulta piuttosto facile, ma quando si ha a che fare con un bosco la situazione si complica; intanto questo non sempre è accessibile per mancanza di strade o per difficoltà a entrare nella boscaglia, secondariamente individuarne i confini può risultare complicato se il terreno è piuttosto scosceso o presenta fossi o rupi.

Gestione del bosco: gli obiettivi
Come secondo punto è necessario porsi degli obiettivi gestionali che si vuole raggiungere, anche in questo caso la consulenza di un professionista del settore potrà aiutarvi nella scelta, sia che questa sia ricada in ambito produttivo sia naturalistico.
Una volta scelti gli obiettivi gestionali da seguire, sarà necessario raccogliere i dati necessari per svolgere le adeguate operazioni selvicolturali.

Gestione del bosco: la stima della massa legnosa e di incremento
A questo punto si valuta quanto in termini di massa legnosa è presente sul proprio terreno.
Per fare ciò il professionista si avvale di una strumentazione apposita come il cavalletto dendrometrico per misurare i diametri delle piante e l’ipsometro per  misurare le altezze.
Una volta raccolti questi dati il professionista sarà in grado tramite un’accurata elaborazione di
Bosco ceduo di carpino nero invecchiato
stimare un volume legnoso e il suo aumento nel tempo al fine di programmare accuratamente gli interventi.
A seconda della superficie di cui si è proprietari potrebbe essere necessario un adeguato piano di gestione (per superfici sopra i 100 ha) o un piano di taglio per superfici inferiori ai 100 ha ma con una certa consistenza (in entrambi i casi necessario un Dottore Forestale per poter progettare tali interventi).
Questi elaborati progettuali sono essenziali per poter gestire ampie superfici in quanto razionalizzano gli interventi, avendo cura di mantenere costante nel tempo il bosco e la produzione di questo.


Gestione del bosco: gli interventi selvicolturali
Il bosco se sufficientemente maturo può fornire a seconda delle specie presenti e dell’accesso a questo un’entrata extra tramite il taglio.
Come detto in precedenza il taglio non vuol dire disboscamento. Nel caso delle latifoglie queste dopo l’intervento rinasceranno da se senza alcun bisogno di reimpianti grazie alla loro capacità pollonifera, per quanto riguarda le conifere, è necessario effettuare degli appositi tagli detti di sementazione che hanno l’obiettivo di far rinnovare nel corso degli anni il bosco in maniera naturale, a fine ciclo si ha delle piante più vecchie, in caso di mancata rinnovazione si effettuano i rimboschimenti (obbligatori per legge dove si tagliano le conifere), in quanto dove vi è bosco deve rinascere il bosco.
Solitamente uno degli interventi selvicolturali più eseguiti per le latifoglie è il taglio del ceduo con il rilascio di matricine, in questo caso si asporta quasi tutta la massa legnosa presente rilasciando  in piedi un certo numero di piante identificate dalla normativa vigente e tramite la disposizione delle ramaglie in lunghe fasce parallele alle curve di livello per impedire ruscellamenti durante le piogge o che si creino eventi franosi in quanto, tale disposizione, evita o rallenta l’erosione dell’acqua. 
Per quanto riguarda le conifere vengono effettuati dei diradamenti dal momento di impianto fino a che non raggiungono l’età adulta (questa varia a seconda della conifera presente)
Taglio raso di una fustaia di pino e abete mai diradata
, fino al taglio di utilizzazione finale, dove una rinnovazione da seme dovrebbe già essere presente e si elimina il vecchio impianto per fare posto al nuovo. In caso di assenza di diradamenti questo procedimento non è possibile, le piante risultano molto snelle e quindi è necessario asportare tutto il soprassuolo rinnovandolo artificialmente con piante di vivaio forestale certificato, queste gratuite per i privati cittadini.


Gestione del bosco: i vari passaggi dell’iter burocratico
Per prima cosa se si vuole far tagliare il proprio bosco è necessario rivolgersi ad Dottore Forestale per la valutazione del proprio bosco.
Secondariamente è necessario trovare un tagliatore interessato, in questo processo il professionista che vi segue può indirizzarvi sulla ditta boschiva che meglio fa al caso vostro, una volta che è stato effettuato il sopralluogo con il boscaiolo si arriva alla trattazione vera e propria.
Vera quindi presentata un’offerta monetaria, da parte della ditta boschiva, del valore della legna presente al netto dei costi sostenuti dal boscaiolo, in termini tecnici si compra il bosco “in piedi”.
Impianto di douglasia mai diradato
Nel caso si trovi l’accordo le due parti firmeranno un contratto di compravendita dove il proprietario risulti tutelato al 100% in caso di danni causati dal tagliatore, il contratto viene solitamente redatto da un Dottore Forestale insieme alla documentazione necessaria per i permessi.
Attualmente sono presenti due tipi di permesso per il taglio boschivo: la dichiarazione di taglio e l’autorizzazione di taglio, i parametri secondo cui va presentata una o un’altra variano  a seconda dei vari regolamenti forestali regionali.
In Toscana la dichiarazione di taglio viene effettuata per le operazioni selvicolturali entro i 5 ettari e solo per i boschi cedui, se presentata da un professionista iscritto all’ordine dei Dottori Agronomi e Forestali già dal giorno successivo la ricezione di questa da parte dell’amministrazione è possibile iniziare i lavori, altrimenti se presentata da privato non abilitato sarà necessario attendere il parere dell’amministrazione.
Per quanto riguarda l’autorizzazione di taglio questa è necessaria per gli interventi che possono avere un maggiore impatto o che sono comunque ritenuti necessari di maggiore controllo. Ricadono in autorizzazione le aperture di strade forestali, il taglio delle conifere, i diradamenti, i tagli dei boschi cedui superiori a 5 ettari ed altri interventi di natura forestale. L’autorizzazione deve essere corredata, nella maggior parte dei casi, da un progetto redatto e timbrato da un Dottore Forestale e può essere acquisita in alcuni casi per silenzio-assenso o tramite rilascio di autorizzazione da parte dell’ente dopo 45 giorni.

Le riforme agricole e forestali del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo



Una breve analisi sulle riforme in campo agricolo e forestale di uno tra i più lungimiranti e illuminati sovrani nella storia europea. Buona lettura.


L’arrivo della dinastia Asburgo-Lorena nella Toscana di metà 700 ha segnato l’inizio delle riforme portando quello che era uno stato arretrato a diventare un’influente stato  sulla scena Italiana ed Europea.
Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena (1742-1791)
Le riforme apportate da Pietro Leopoldo furono varie e riuscirono a coprire quasi tutti i campi dell’economia toscana ma una forte spinta all’economia venne data con le riforme del settore agricolo e forestale.
Le riforme presero corpo durante il periodo tra il 1765 e il 1781 e riguardarono l’ammodernamento dell’allora politica agro-forestale, dove vigeva una proprietà in mano a pochi ed una classe contadina a servizio dei grandi proprietari (si stima che ¾ del suolo toscano fosse in mano allo stato, la chiesa e terre comuni a borghi e villaggi, il restante era suddiviso tra vari proprietari e signori).


Le riforme agrarie
La legge frumentaria del 1767 emanata dal Granduca ebbe luogo dall’inchiesta statistica avviata su tutto il territorio toscano nel 1766 in cui fu analizzato ogni aspetto dell’economia locale secondo la filosofia del “conoscere per provvedere” che fu alla base del governo di Pietro Leopoldo.
L’urgenza di questa riforma si fece sentire soprattutto per la carestia che affliggeva il Granducato in quei tempi, le politiche medicee erano rimaste ai tempi di Cosimo I (1500) e avevano paralizzato il mercato agricolo e forestale locale.
Il Granduca quindi decretò l’abolizione di ogni tassa sul pane, abolizione dei dazi sul frumento, libera circolazione delle merci all’interno e all’esterno dei territori Granducali  e la possibilità dei privati cittadini di poter conservare i frumenti favorendo cosi le importazioni, la circolazione delle merci e velocizzando la risoluzione al problema della carestia.
Con successive leggi furono inoltre riformati i campi dell’esattoria, che passava da soggetti terzi per conto dello Stato direttamente in mano allo Stato, la tassazione delle proprietà granducali, finora esenti, e la limitazione dei diritti di manomorta abolendo l’inalienabilità dei terreni appartenenti allo stato, alla chiesa e ai nobili. Fu proprio il Granduca stesso che cedette alcune sue proprietà per favorire una realtà contadina contrapposta alla mezzadria.
La riforma agraria attuata permise anche la modifica dei contratti agricoli introducendo il diritto di affrancazione favorendo cosi l’acquisizione del terreno da parte del contadino, riuscì inoltre a riformare anche un’antica usanza della Maremma, quella del pascolo libero. Era infatti proibito ai tempi, per i proprietari, il poter recintare i propri terreni in quanto le bestie dovevano pascolare liberamente; ciò sfociava spesso in danni ai raccolti e all’inselvatichimento del bestiame.  La nuova riforma però portò inizialmente ad una diminuzione del bestiame allevato, ma tramite le riforme forestali si riuscì a mantenerne costante il valore di questo settore.

Le riforme forestali
Per quanto riguarda il settore forestale bisogna fare una piccola premessa. Erano in vigore ai tempi particolari leggi varate dal casato Mediceo che nei secoli aveva portato ad un caos burocratico rendendo difficile se non impossibile in alcuni casi il taglio dei boschi.
La normativa medicea viene definita come “vincolista” in quanto iniziò a porre vincoli sempre più stretti sul taglio del legname; si pensi che era allora vietato tagliare sulle cime degli appennini per un miglio sia da un fianco che dall’altro del monte e che era proibito l’abbattimento di farnie, roveri, roverelle, cerri, lecci, castagni, estirpare le ceppaie ed un monopolio di acquisto di carbone e legname da parte della magona del ferro, vennero inoltre fissate delle tasse e delle licenze per il taglio dei boschi e dei turni minimi.
Con un proprio regolamento era la montagna pistoiese, che doveva fornire grandi quantitativi di legname ai forni e alle fonderie (circa 1000 tonnellate al mese).
Con l’editto del 20 Gennaio 1776 qui riportato, il Granduca Pietro Leopoldo liberalizzava il taglio boschivo abolendo le varie licenze e definendo aree ben precise con divieti di taglio. Il problema dell’autorizzazione al taglio era di un certo impatto sull’economia locale in quanto la richiesta andava effettuata a più autorità per l’approvazione. Anche l’abolizione dei diritti di manomorta andava ad aprire il mercato forestale, favorito dall’editto del 1770 (liberalizzazione del commercio di legname).
Va però inteso che alcune limitazioni rimanevano sempre; ad esempio il divieto di estirpazione di alcuni tipi di bosco nonostante con il passare del tempo si riuscì a recuperare superfici agricole a scapito di quelle forestali.
È di questo periodo inoltre la fioritura della castanicoltura in Toscana, settore che tutt’oggi sopravvive seppur con le sue enormi difficoltà e del pascolamento in bosco dei maiali (soprattutto nel senese) con la creazione di boschi da ghianda veri e propri pascoli arborei.  
Un altro effetto che si verificò durante i 25 anni di regno di Pietro Leopoldo e che diede forza all’economia agricola fu la nascita di numerosi poderi con caratteristiche simili a quella che oggi verrebbe definita un’azienda agricola multifunzionale.
Insieme ai classici metodi selvicolturali del tempo si vengono a formare nuovi tipi di colture associate al bosco come gli arbusteti a turno quinquennale e gli ericeti per la coltivazione del ciocco d’erica; si crea cosi un impresa contadina basata non solo sull’allevamento o sull’agricoltura come avveniva in epoca medicea, ma che può contare anche su legname e prodotti derivanti dal bosco.



Editto 20 gennaio 1776. Disposizioni relative ai boschi del Granducato di Toscana.

Pietro Leopoldo
Per grazia di Dio
Principe Reale di Ungheria e di Boemia
Arciduca d’Austria
Granduca di Toscana &c.&c.&c.

Essendo Noi persuasi che la conservazione delle Boscaglie interessa principalmente i Possessori, e che le leggi proibitive del taglio di diverse specie di piante, pubblicate in varj tempi dai Magistrati, e Tribunali con approvazione dei nostri Reali Predecessori, ledono i diritti della proprietà, ed espongono i Possessori a frequenti vessazioni, e processi, non per altro motivo, che per quello d’aver omesso di chiedere una licenza, te non gli sarebbe stata negata;
E volendo porvi l’opportuno riparo, ci siamo determinati a restituire ai Possessori, conforme col presente Editto restituiamo la facoltà tolta loro dalle Leggi suddette, di tagliare, senz’obbligo di chiedere alcuna licenza, Quercie, Farnie, Istie, Castagni, Olmi, Pini, e generalmente qualunque altra sorte di piante, e di boschi di loro pertinenza in qualunque parte del Gran Ducato, a riserva che nei luoghi infrascritti:
Negli Appennini dentro al miglio dalla cima dei medesimi dall’una, e dall’altra parte, non compresa però la montagna
di Pistoia, per la quale abbiamo dato disposizioni particolari colla Legge del dì 14 agosto 1775.
Nei Circondarj delle Macchie riservate agli Edifizj della Magona del ferro situati nella Maremma Senese e Pisana, e nel Vicariato di Pietra Santa.
Nelle Macchie addette alle Moje del sale di Volterra; intendendo, che rispetto ai Circondarj, e luoghi sopraccennati non sia fatta innovazione alcuna, e si osservi quanto si dispone dalle Leggi veglianti.
Vogliamo parimente, che resti nel suo pieno vigore e osservanza la Legge dei 3 marzo 1769, riguardo ai Pini salvatici a favore dell’Uffizio dei Fossi di Pisa.
Confermiamo la proibizione d’arroncare, far cetine, o addebbiare, e seminare in tutti quei luoghi, nei quali dalle Leggi veglianti sono proibite tali operazioni, o lavori sotto le pene imposte dalle Leggi suddette, dichiarando, che da qui avanti non saranno accordate le licenze di arroncare neppure nelle Alpi di S. Gaudenzio, non ostante l’Editto dei 6
settembre 1769, che resta intieramente revocato, ed abolito.
Parimente confermiamo la proibizione dell’estrazione dalla parte di Mare, tanto del legname da Costruzione, o da Magistero, quanto del carbone e legna da ardére, e di qualunque altra sorte di lavorazione, senza aver ottenuta, anco prima di tagliare, la licenza dell’estrazione suddetta, e pagarne la tassa, o sia tratta dovuta alla cassa de’Boschi nelle solite forme.
Tale è la nostra volontà di cui comandiamo l’inviolabile osservanza, derogando a qualunque Legge, Statuto, o Consuetudine in quella parte, che fosse contraria a quanto sopra abbiamo disposto.