La Toscana può vantare un immenso patrimonio boschivo, ma questo risulta minacciato nella sua integrità da specie aliene, importate ed impiantate ingenuamente senza conoscerne le relative potenzialità, e che adesso stanno creando importanti danni alla biodiversità del nostro territorio. Buona lettura.
Le specie alloctone: una breve definizione
Con
il termine alloctono (specie aliene) si intende quelle specie che a grazie all’azione
dell’uomo si ritrovano a colonizzare aree differenti dal loro areale storico. Queste
specie possono essere indicate con varie categorie che individuano il grado di
adattabilità della specie alla nuova area, si hanno cosi: 1) specie locali:
sono quelle specie che si sono adattate
a determinati ambienti e solo in alcune località; 2) specie diffuse:
perlopiù diffuse in ambiente artificiale, ma con capacità di autoriprodursi all’interno
di questo; 3) specie invasive: sono quelle specie che riescono a
diffondersi a macchia d’olio in un ambiente soppiantando le specie locali e
riproducendosi senza problematiche o antagonisti.
Pensando
a quest’ultima categoria viene subito a mente il gambero rosso della Louisiana,
la tartaruga dalle orecchie rosse e il punteruolo rosso delle palme, i primi
due provenienti dall’America del Nord ed importati in Europa o per allevamento
(gambero) e poi diffusosi una volta fuggito o dismessi gli allevamenti ed il
secondo come animale domestico e poi liberato in natura.
Le specie arboree
invasive della Toscana
Un
discorso simile può essere fatto anche per le specie vegetali, sebbene queste diano
meno nell’occhio rispetto alla controparte animale poiché comunque creano un
paesaggio verde che, per i non addetti ai lavori, può risultare in un normalissimo
bosco, ma l’impatto ambientale che producono non è affatto irrilevante.
Si
pensi infatti che in toscana da recenti studi è emerso che sono presenti all’incirca
308 specie alloctone vegetali (dati del 1981 anno in cui fu condotto uno studio
a riguardo), attualmente troviamo 14 specie invasive (Arrigoni et.al, 2010).
A
livello di piante arboree si riscontrano l’ailanto (Ailanthus altissima) e la Robinia (Robinia pseudoacacia) comunemente detta “cascia” o erroneamente
acacia. Entrambe le specie sono oggetto di piani di contenimento da parte della
regione e ne è proibita la coltivazione o la piantumazione.
Ailanto
Originaria
dell’Asia fu importata in Toscana a fine del 1700 come pianta ornamentale di
parchi e giardini, questa è poi stata utilizzata anche in altri ambiti, come il
recupero di suoli franati, che ne ha permesso il diffondersi in gran parte
delle zone della regione.
A
favore di ciò si è prestata anche la natura stessa della pianta, la quale produce
grandi quantitativi di seme e può ricacciare dalle radici nuovi polloni anche a
distanza di alcuni metri dalla pianta di origine.
Descrizione morfologica
dell’ailanto
L’ailanto
è una pianta arborea che può raggiungere i 25 metri di altezza in poche decine
di anni, presenta una corteccia grigio chiaro che diventa rugosa con l’età dove
si notano, inoltre, anche delle lenticelle (piccole cicatrici) rilasciate dalle
foglie caduche.
La
gemma di accresciemnto ha una forma a cupola, caratterizzata da una leggera
peluria ed è ben visibile durante il periodo invernale. Le foglie sono composte
paripennate con foglioline ovate-lanceolate, i fiori sono di piccole dimensioni
e sono portati su grandi infiorescenze che possono raggiungere i 50 cm di
lunghezza. Produce frutti secchi (samare), volatili simili a quelle dell’acero.
Robinia
Originaria
del Nord America, dove forma boschi in purezza, è stata introdotta come albero
monumentale, nei giardini toscani, nei primi decenni dell’800 e già a fine
secolo risultava inselvatichita. Colonizza aree fresche e soleggiate, la
troviamo infatti in boschi in purezza lungo i corsi d’acqua, lungo le ferrovie,
le strade e nel tempo sta riuscendo a soppiantare il castagno nei nostri boschi
(principalmente nelle zone sub-montane). La robinia, più dell’ailanto, risulta
invasiva ed è spesso soggetta a tagli per cercare di fiaccare la vigoria della
pianta, ma con scarsi risultai in quanto questa riesce a diffondersi anche per
via pollonifera data l’impropria esecuzione di questi. La forza che sta alla
base della diffusione di questa specie deriva sia dalla mancanza di patologie o
antagonisti in grado di contenerla sia dall’enorme quantitativo di semi che
produce i quali, si diffondono a macchia d’olio nell’area circostante. Soffre l’aridità
estiva e questo la frena dal diffondersi nelle zone a sud della regione.
Descrizione morfologica
della robinia
Si
tratta di una specie che può arrivare fino ad un’altezza di 25 metri, come per
l’ailanto, ma con incrementi maggiori. La corteccia risulta molto rugosa e di
un colore bruno, in età giovanile presenta sul tronco lunghe spine che poi
perde con l’avanzare dell’età e rimangono solamente sui rami più giovani.
Le
foglie sono composte ed imparipennate con 11 o 21 foglioline, i fiori bianchi
sono raccolti in infiorescenze a grappolo e producono dei frutti secchi a forma
di baccello (non per niente fa parte della famiglia delle fabaceae, la stessa dei fagioli e dei piselli).
Il danno ambientale
Le
specie invasive come le due qui presentate causano notevoli problematiche
ambientali risultanti nella perdita di biodiversità autoctona, infatti, dove
queste specie attecchiscono e formano situazioni in purezza la biodiversità
vegetale è notevolmente ridotta. Questa è causata dalla caratteristica delle
specie di alterare lo stato chimico del terreno eliminando la concorrenza, a
farne spese cosi, non è solo la flora ma anche i microrganismi del suolo e con
loro tutta la struttura che sorregge il ciclo edafico di quell’area. Notevole
perdita si ha anche dal lato animale; nei robinieti infatti, i mammiferi
erbivori non trovano sufficiente foraggiamento come in querceti o castagneti e ne risulta un abbandono di questi boschi da
parte della fauna selvatica, prediligendo solo di passaggio in queste aree.
Metodi di contenimento e
lotta alla diffusione
Da
vari studi effettuati in Nord America è stato possibile identificare alcuni
metodi per contenere le due specie, è necessario però precisare che questi
metodi sono stati prevalentemente studiati sulla robinia, specie maggiormente
diffusa in quelle zone. La lotta e il contenimento può quindi avvenire per
mezzo di interventi: 1) meccanici, ovvero metodi che agiscono sulla
singola pianta meditante un taglio o una cercinatura, si cerca quindi di creare
stress nella pianta per diminuire la sua vigoria, questo metodo va riproposto
nel tempo affinché sia efficace; 2) utilizzo di sostanze chimiche, che
tendono ad inibire o bruciare alcune parti della pianta, va detto che non è
certo un metodo biologico e può risultare anche rischioso a seconda dell’area
in cui si utilizzi; 3) uso del fuoco e del pirodiserbo, questo metodo
può essere utilizzato con efficacia dopo un taglio per fiaccare la ricrescita
dei polloni. Ovviamente risulta un metodo rischioso in bosco e dovrebbe essere
effettuato sotto il controllo di esperti del corpo dei vigili del fuoco; 4) selvicoltura,
questo settore racchiude gli interventi più pratici da un punto di vista
forestale e quindi più indicati per la robinia. L’obiettivo di questi
interventi deve essere quello di rendere la robinia la specie dominata del
bosco poiché questa mal tollera l’ombreggiamento e quindi cercare in maniera
naturale di soffocare la diffusione.
Formazione di robinia in bosco ( chiome più chiare) |
Questi
metodi hanno ovviamente vari pro e contro; i più efficaci, come possono essere
gli interventi meccanici e chimici, hanno però come controparte un alto costo
monetario e in alcuni casi ambientale, d’altra parte il metodo selvicolturale
appare il più ottimale sia da un punto di vista ambientale che economico e di efficienza.
Adottando
tecniche di ombreggiamento, quali l’avviamento a fustaia della specie in lotta
con la robinia a seguito del taglio raso di questa o la piantumazione di piante
a rapido accrescimento e tagli continui a carico della sola invasiva possono
portare a buoni risultati.
I
metodi per il contenimento di queste specie sono presenti, ma è necessario
poter valutare da zona a zona, in quanto queste piante possono rivelarsi anche
un’ottima fonte economica in aree in cui il mercato risulta piuttosto fermo. Questo
discorso vale solamente per la robinia, la quale ha buone produzioni di legname,
utilizzato come legna da ardere per stufe, e i fiori, ricchi di nettare, sono
una prelibatezza per le api. L’ailanto, al contrario, non viene utilizzato in
nessuna maniera data la scarsa qualità del suo legname e all’esiguità dei
fiori, inoltre risulta anche emanare un odore sgradevole e rimane una pianta prettamente
ornamentale.
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